IL PROGETTO

9 ottobre 2015
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di Barbara Pinelli e Luca Ciabarri

Punto strategico d’osservazione delle migrazioni forzate nell’area euro-mediterranea, l’Italia è altresì un luogo centrale da cui far partire una riflessione critica sulle dinamiche di protezione rivolte a migranti e richiedenti asilo. Certo, i riflettori mediatici e i discorsi politici puntati sugli sbarchi rischiano sempre di ridurre lunghe e violente rotte migratorie ad uno spazio temporale ristretto, coincidente con l’approdo. La spettacolarizzazione degli arrivi via mare getta, infatti, un’ombra sulle reali esperienze di uomini e donne richiedenti asilo, circondando di silenzio i percorsi che caratterizzano il tempo dopo l’approdo sulle coste italiane. Un istante d’esposizione mediatica che fa scomparire i soggetti, le loro esperienze e attese sul futuro nelle grida d’emergenza, nei numeri e nelle procedure burocratiche. Eppure, le storie di migrazione e le immagini raccolte in questo progetto collettivo esclamano a gran voce l’importanza di documentare condizioni e vicissitudini di uomini e donne che chiedono protezione in Italia, o che transitano dall’Italia verso altri paesi europei.

Erano da pochi mesi accadute le due tragedie nel Canale di Sicilia dell’autunno 2013 quando abbiamo iniziato questo progetto di documentazione e ricerca. Gli arrivi sulle coste delle regioni meridionali dell’Italia, che da lì a poco si sarebbero intensificati, stavano già catturando l’attenzione mediatica nazionale e internazionale. Da antropologi, avevamo costruito il progetto su lunghe e precedenti ricerche sulle migrazioni per asilo. Considerandole strumento di conoscenza anche per i fotografi, a cui abbiamo dato un ruolo centrale nella narrazione, sarebbe spettato ad essi il compito di documentare lo scorrere della vita quotidiana dei richiedenti asilo dentro alle principali strutture di confinamento, come i CARA, o fuori da esse registrando ciò che accadeva nelle maglie strette dell’esclusione e dell’abbandono. Gli eventi hanno invece fatto coincidere questo lavoro collettivo con un momento storico che ha posto il fenomeno delle migrazioni via mare su dimensioni del tutto inedite e gravi. Se prima di tutto questo fenomeno doveva essere documentato per le storie delle oltre 170.000 persone arrivate via mare nel corso del 2014 e per il numero delle morti nel Mediterraneo, esso chiedeva altresì la registrazione delle trasformazioni avvenute nelle modalità e nelle politiche di protezione e abbandono, che direttamente hanno avuto un effetto sull’esistenza dei richiedenti asilo in Italia o transitanti dall’Italia.

AG-3266

Più che novità, questi cambiamenti sono stati degli allargamenti del sistema di protezione precedente che hanno nei fatti generato ulteriore confusione nel funzionamento della macchina dell’accoglienza. La gestione degli arrivi via mare ha messo in evidenza una forte continuità, se non un rafforzamento, fra le scelte politiche fatte prima e dopo il 3 e l’11 ottobre 2013, rintracciabile nei meccanismi emergenziali, spesso improvvisati, e mostrando per l’ennesima volta la distanza dell’accoglienza offerta da percorsi strutturali di reale integrazione. L’Operazione Mare Nostrum prima e Triton successivamente, e ancor più gli effetti sulla terraferma che essa ha comportato, le trasformazioni del sistema di accoglienza comprese le nuove forme di abbandono istituzionale, le traiettorie e ancora i saperi, i discorsi e i desideri dei migranti stessi tratti in salvo, hanno deciso la direzione del progetto e riempito il tempo della ricerca etnografica e della documentazione fotografica.

Siamo così partiti dagli accadimenti del 2014 senza perdere di vista l’asse di continuità storica con il passato recente, offrendo una documentazione, seppur non esaustiva, di questi accadimenti. Il nostro lavoro di coordinamento e l’importante contributo di coloro che hanno scritto in queste pagine hanno proceduto a ritroso, svelando elementi di novità rispetto ai discorsi sociali e politici, alle scelte e alle misure portate avanti dagli organi di potere in materia di migrazione per asilo, e la profonda continuità storica con le impostazioni precedenti e con i suoi fallimenti.

Nel loro ruolo di documentazione, queste pagine sono altresì rivolte al futuro prossimo e all’entrata di questa esperienza nella sfera pubblica. Sono rivolte cioè anche a chi a diversi livelli ha un ruolo – come voce sociale, istituzionale o politica – nel produrre saperi, ricerche e pratiche rivolti alle migrazioni per asilo. Un progetto così strutturato non può non rivolgersi con voce critica e urgente – unendosi a quelle già circolanti – alle misure di critica e di azione che stanno prendendo piede, in sede nazionale e soprattutto europea. Le persone che hanno scritto insieme a noi queste pagine hanno alle spalle esperienze di ricerca, di impegno concreto e d’inchiesta sulle tematiche qui affrontate. Assieme, vanno a compilare un amalgama tra brevi articoli scientifici, contributi di giornalisti d’inchiesta e voci di chi è concretamente alle prese con la realtà delle migrazioni.

Pensato fin dal suo inizio come parte di una più ampia campagna di conoscenza e di sensibilizzazione, caratterizzato da una prospettiva etnografica che prevedeva un coinvolgimento diretto dei richiedenti asilo, il progetto ha cercato – mantenendo saldi principi di non violazione dell’intimità delle persone incontrate – di entrare nei dettagli della vita quotidiana attraverso la raccolta delle storie, ma ancor più delle immagini, che ne ritraggono le esperienze sociali. Lo scenario sociale, istituzionale e politico non finisce, infatti, nelle prime procedure di controllo o di richiesta di asilo. Continua, invece, nelle modalità d’assistenza e nelle strutture stesse dove si consuma la lunga attesa di permessi, nelle maglie feroci dell’abbandono istituzionale, negli spazi informali che scandiscono il tempo verso un incerto futuro giuridico, in un percorso che a partire da una forza e una speranza iniziale conduce il più delle volte a forme di marginalizzazione e assoggettamento.

Cosa accade in questo tempo di attesa e quali realtà lo riempiono? Campi di accoglienza e abitazioni improvvisate, luoghi d’incontro informale, come le piazze o le stazioni, spazi di lavoro spesso al limite della regolarità e dello sfruttamento scandiscono esistenze quotidiane successive agli approdi, fatte di protratte attese, rituali burocratici, abbandono, marginalità sociale ed economica. Si è trattato, da una parte, di documentare e rendere visibili le molteplici forze sociali e forme di violenza – di volta in volta istituzionale, economica, sociale e razzista – che agiscono sui soggetti mettendoli in posizioni di vulnerabilità. E dall’altra, di mostrare come questi uomini e queste donne non esistano solo negli ingranaggi della burocrazia, dell’esclusione e della marginalità. Sia l’immaginario razzista che le retoriche che dipingono i richiedenti asilo esclusivamente come vittime o come soggetti pronti ad approfittare del contesto di arrivo sono infranti in modo concreto dalle storie e immagini che rivendicano autonomia e volontà d’azione.

La scelta di parlare di rifugiati attraverso la fotografia sociale nasce dalla volontà di non raccontare le migrazioni per asilo in modo astratto, per trascinare lo sguardo della società civile e delle istituzioni verso la materialità dell’esperienza concreta dell’essere richiedente asilo, partendo dalle voci e dalla prospettiva degli stessi soggetti. Sono emersi ritratti sociali che mostrano come le persone coinvolte siano sì richiedenti asilo, il cui spazio d’azione è spesso ritagliato dentro a griglie di povertà e discriminazione, ma anche giovani uomini e donne che procedono verso la ricostruzione delle loro vite e che organizzano una vita quotidiana con pochi mezzi materiali. Le immagini gettano così luce sui punti più critici dei sistemi di accoglienza e di protezione e sulle arene d’azione ricavate dai richiedenti asilo dentro alle dinamiche sociali di cui sono investiti.

È rimasta salda la nostra idea iniziale: usare un doppio registro narrativo per dar vita ad una documentazione vicino alla realtà dei rifugiati, evitando ennesime spettacolarizzazioni ed ostentazioni di sofferenza e povertà, esibendo invece la vulnerabilità prodotta e alimentata dagli ingranaggi delle società d’approdo. Questa documentazione è un lungo viaggio che parte dalle città di Messina, Palermo, Trapani, Ragusa, Catalnisetta e procede verso le realtà urbane di Roma e Milano. Immagini e testi che le accompagnano e le contestualizzano fanno scorrere lo sguardo sugli spazi abitativi – campi d’accoglienza, insediamenti spontanei, abitazioni improvvisate – su oggetti, volti, spazi d’incontro informali come le piazze e le stazioni, e luoghi di lavoro, regolare o fatto di espedienti. Ne è scaturita una narrazione tangibile e concreta sulle ripercussioni che la realtà dopo l’approdo ha sui richiedenti asilo in Italia.